Simonino da Trento

Una storia astroce che racchiude la criminalità, l'odio, la violenza del mondo della chiesa ma anche di tutti coloro che vi stanno intorno.

Nel 1475, a Trento , a pochi giorni dalla Pasqua, un bambino viene ucciso e il corpo fatto ritrovare vicino a una casa ebraica. I pochi ebrei della città (il più giovane aveva quindici anni, il più vecchio novanta), presunti omicidi, furono torturati atrocemente, per mesi, sino a strappar loro una “confessione” e quindi messi a morte, in quanto dichiarati colpevoli per omicidio a "mezzo di rituale ebraico".

Una  fake news  medievale intrisa di odio e ignoranza e per secoli di Simonino da Trento è stato venerato come “martire” innocente dalla chiesa santa apostolica e cattolica....Numerose anche le opere d'arte, i quadri , le raffigurazioni di ebrei (dipinti con ghigno crudele) mentre uccidono il bambino con colpi inferti al costato per paragonarlo al colpo ricevuto da Gesù negli scritti greci.

Simone(1472-1475), figlio di Andrea Unverdorben, conciapelli che lavorava a Trento nella contrada del Fossato, e di Maria scomparve la sera del 23 marzo 1475 e fu ritrovato cadavere tre giorni dopo, il 26 marzo, domenica di Pasqua. Il corpo del bimbo fu rinvenuto nel canale che passava sotto la casa di Samuele da Norimberga, membro ella piccola comunità ebraica della città di Trento. La solita voce popolare, rafforzata dalla predicazione contro l’usura compiuta nelle settimane precedenti dal frate Bernardino da Feltre, individuò come al solito negli ebrei i colpevoli del rapimento (per quanto nei giorni precedenti le loro case fossero già state inutilmente perquisite).

Il podestà della città Giovanni de Salis da Brescia  ordinò l'arresto di 18 persone. Secondo i due medici legali chiamati a esaminare il corpo, la morte era avvenuta per ferite volontariamente inferte.

Il cadavere del fanciullo fu collocato su un altare della chiesa cittadina di S. Pietro e si cominciò a diffondere la fama dei miracoli che avvenivano grazie al contatto con esso; la credenza in tali interventi divini rafforzò l’opinione comune secondo cui il piccolo era stato ucciso da nemici della fede cristiana.

Il processo fu gestito da Johannes Hinderbach (1418-1486), vescovo dal 1465, che a Trento esercitava anche il potere temporale e condivideva pienamente i pregiudizi antiebraici, vollero indurre coloro che erano stati arrestati a confermare la tesi del martirio. Gli accusati inizialmente  sostennero la propria innocenza ma, dopo essere stati torturati con atrocità e crudelltà finirono con l’acconsentire alla versione dei fatti che i giudici proponevano loro (sia per l’omicidio, sia a proposito dell’odio contro i cristiani come movente).

Altre indagini che avrebbero potuto portare a esiti diversi (come quelle a carico di un certo Johannes Schweizer, accusato dagli stessi ebrei di essere il colpevole dell’infanticidio) furono dunque abbandonate.

Il vescovo favorì allora la registrazione dei miracoli che si diceva continuassero ad avvenire presso il piccolo corpo, dove già si affollavano devoti e pellegrini provenienti da varie parti del nord italia e anche dalla vicina austria e germania

Un intensa attività propagandistica, anche attraverso l’uso della stampa, diffuse con scritti e immagini la fama del Simonino e la versione dei fatti prodotta dal tribunale trentino.

Finirono sul rogo Israele di Samuele, Samuele, Angelo, Tobia, Vitale e Mohar; Mosè il Vecchio era morto in carcere qualche giorno prima; Bonaventura, cuoco di Samuele, e Bonaventura di Mohar si convertirono per evitare il rogo e furono decapitati.

Il 30 giugno 1475 il vescovo spedì a papa Sisto IV una relazione su quanto era avvenuto e chiese la canonizzazione del piccolo Simone. Il 23 luglio il papa inviò a Trento il frate domenicano Battista dei Giudici (1428-1484), vescovo di Ventimiglia, come commissario apostolico incaricato di valutare la situazione. Il dei Giudici giunse a Trento all’inizio di settembre e assunse fin da subito una posizione molto critica sia verso il culto e gli asseriti miracoli, sia verso le risultanze processuali. Riteneva infatti non solo che le accuse alla comunità ebraica fossero inverosimili e che le confessioni fossero state estorte con la tortura, ma anche che il testo stesso dei verbali fosse stato falsificato. Di fronte all’ostilità che l’ambiente locale non mancò di dimostrargli scelse di trasferirsi a Rovereto  dove completò l’indagine e cercò inutilmente di far scarcerare gli ebrei ancora imprigionati. Sulla base del rapporto di dei Giudici, il 10 ottobre Sisto IV proibì di chiamare beato il Simonino.

La sconfessione del culto implicava una critica nei confronti del modo in cui si era svolto il processo: Hinderbach, per difendersi, cominciò allora un’azione volta a screditare il commissario apostolico, che fu accusato di essere stato corrotto dal denaro degli ebrei, e scrisse ad amici e conoscenti (a Roma all’umanista Bartolomeo Sacchi detto il Platina) per sostenere la regolarità di ciò che era stato fatto dal tribunale trentino. Infine fu il commissario apostolico a dover giustificare il suo operato, mentre i processi contro i presunti correi (cominciati il 3 novembre 1475) grazie alla tortura portarono a nuove confessioni. Seguirono altre condanne alla pena capitale; tra le vittime vi furono anche tre donne (Dolcetta, moglie di Angelo, Brunetta, sua nipote, e Dolcetta, moglie di Salomone).

Il Simonino non fu canonizzato, ma Hinderbach per lo meno ottenne che una commissione papale confermasse la correttezza formale del processo che si era svolto (20 giugno 1478); sebbene il martirio di Simone non fosse stato confermato, il culto comunque si diffuse (ne sono testimonianza gli affreschi tardo quattrocenteschi che si trovano in numerose chiese dell’Italia settentrionale) e anche altrove, negli anni immediatamente seguenti, si volle attribuire agli ebrei la responsabilità del rapimento o della morte di bambini. Solo più di un secolo dopo, nel 1584, la S. Sede concesse l’iscrizione del nome di Simone nel Martirologio romano e nel 1588 papa Sisto V concesse i formulari per il culto liturgico.

Quel che rimaneva del piccolo corpo, conservato in una cappella della chiesa di S. Pietro di Trento, fu mummificato dal medico ed erudito Ippolito Guarinoni nel 1637; la cappella fu riccamente decorata con tele e stucchi nella seconda metà del XVII secolo, a testimonianza della devozione rifiorita in età controriformista e barocca. Altri spazi della città furono posti in evidenza quali luoghi della memoria simoniniana: la sinagoga dove sarebbe stato ucciso e la casa dov’era nato (trasformata in cappella nel 1758). La festa liturgica era fissata al 24 marzo, ma veniva celebrata la quarta domenica dopo Pasqua; una solenne processione si teneva ogni dieci anni, con il trasporto del corpo e dei presunti strumenti del martirio.

Si giunse  alla formale abrogazione del culto il 28 ottobre 1965. Il corpo del Simonino fu sepolto nel cimitero cittadino, in una tomba anonima.

Nel suo nome furono perpetrate persecuzioni antiebraiche ricorrenti. Bisognerà aspettare appunto il Concilio Vaticano II per ristabilire la verità storica: il 28 ottobre 1965, lo stesso giorno in cui venne pubblicato il documento conciliare Nostra Aetate, la Chiesa abolì il culto del falso “beato”. Quasi 500 anni in cui gli ebrei, di fatto, per la Chiesa, si erano macchiati di “omicidio rituale per impastare con sangue di un bambino cristiano” le azzime della Pasqua.

La copia della documentazione (verbali dei processi, corrispondenze, scritti polemici e letteratura giuridica) è eccezionale per qualità e quantità è conservata nell’Archivio segreto Vaticano, a Vienna nello Haupt-, Hof- und Staatsarchiv e a Trento, presso l’Archivio di Stato (Archivio Principesco Vescovile, Sezione latina, capsa 69) e il Museo diocesano; una versione in tedesco è a New York (Yeshiva University).